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Puntata IX

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Un giro dove tutto è niente

15 Marzo 2018 Racconti


La sigarette sfumava i contorni ed i miei occhi da passante distratto danzavano fra le case come foglie morte portate dal vento.
La pioggia si gettava pesante sui marciapiede deserti del Corso Matteotti ed i lampioni poi, ai bordi, gli conferivano l’aspetto di un torrente scintillante d’avorio. Erano circa le tre di notte mentre rincasavo da un poker organizzato da alcuni amici. Procedevo piano, il finestrino abbassato a raccogliere quanta più aria fredda possibile nei polmoni, come per assaporare la vita in quella notte morta. L’ultima sigaretta della giornata si perdeva nel vento ed io con lei, ero soddisfatto dopo aver infilato una scala reale massima servita, un colore e un poker cambiando tre carte. Non so perché ricordai quand’ero bambino e mi rividi spensierato e felice seguire un gattino per quelle stesse strade con l’asfalto che ora per la pioggia riscopriva un sospiro. Mi destò dai miei pensieri una luce abbagliate, un carosello di berline nere dai vetri oscurati mi passò di fianco, nulla di strano se non fosse stata notte fonda, in fondo Patti era sempre stata una cittadina molto attiva e importante, nonostante i suoi poco più di quindicimila abitanti, aveva da sempre il suo Tribunale, la sua Diocesi, il suo complesso archeologico e le scuole superiori e, da alcuni anni, persino una sezione staccata della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Messina. Ma di notte, come tutti i paesi di provincia, era pressoché deserto. Dove andavano? In fondo poco mi interessava e non avevo alcuna intenzione di scoprirlo – non sono un investigatore io e nemmeno uno che si fa gli affari degli altri – però gli occhi sono fatti per vedere e osservare anche quando non si vorrebbe, così, sempre più perplesse, le mie pupille mostravano tutto il loro stupore nel vedere lo strano corteo procedere lungo la strada, superare il vecchio cinema Tindaris, la villa comunale e allontanarsi verso una zona molto periferica del paese, Case Nuove… Soliti complotti, solita massoneria, os oliti onorevoli che vogliono spolparsi quel poco che rimane da spolpare dopo averci calpestato (soprattutto a noi giovani) come aiuole incustodite, dissi fra me e me, solite mummie che fingono benedizioni con una mano mentre pugnalano con l’altra. Intanto il paese piangeva come di lacrime oscure, come un moribondo che sta per conoscere una morte ingloriosa, come se il suo tutto, il suo tempo, fosse trascorso inutilmente in un luogo perso nel tempo. Piangeva la terra che non assorbiva più la troppa acqua, piangevano le strade, piangevano le persone senza lavoro, piangevano gli studenti che non avevano le scuole e i professori che non avevano il lavoro o dagli stipendi inadeguati, piangevano quelli costretti a lavorare in nero, umiliati e vilipesi, per pochi spiccioli, piangevano i vecchi abbandonati a loro stessi in un ospizio fatiscente, fra puzza di muffa dalle pareti ed escrementi, piangevano persino le fogne che non riuscivano a portar via tutto il marcio del paese, piangevano i libri divorati dall’umidità, piangeva persino l’acqua pubblica inquinata e incanalata in impianti fatiscenti, piangeva il territorio devastato dall’abusivismo edilizio smodato e anche le stesse costruzioni abusive abbandonate e testimoni silenziose di delitti gravissimi, piangeva il ricordo del passato e mi ritrovai a piangere anch’io, come un bambino, ricordandomi di quand’ero veramente bambino…
Passavo il cinema e ricordavo le vecchie poltrone rosse che non bastavano mai, il gestore che si affannava per portare delle sedie in più e i meno fortunati seduti per terra o in piedi, ogni tanto saliva del fumo di sigaretta e ancora più spesso si inceppava la pellicola facendo partire il solito coro poco cortese nei riguardi dell’operatore cinematografico che però, per poche monete, proiettava i nostri sogni sul telone, le comiche di Villaggio, i cartoni della Disney e nel corridoio il già allora vecchissimo Turiddu che ad ogni ragazza che gli passava davanti chiedeva se somigliasse a “Sophia Lorren” o a “Gina Lollobliggida” e ai più grandi chiedeva, con fare ruffiano, una sigaretta. Tutta acqua passata, non sarebbe più stato tempo di andare al cinema, troppa puzza in quello nuovo! Eh sì, non ho mai sopportato il puzzo dei popcorn bruciati, oltretutto, per essere restaurato da poco, non era certo il massimo del confort, per non parlare del pericolo di prendersi un pezzo di intonaco in testa entrando. Della villa comunale serbavo pochissimi ricordi, mi ha sempre dato un’impressione di tristezza con quella sua vasca senza pesci, quel suo chiosco stile liberty utilizzato come capanno, quella sua torretta per orchestrali che non ospitava alcuna banda da almeno un cinquantennio. Più ricordi invece mi legavano al parco comunale, dove ci si andava coi compagni delle medie e, a volte, pure con quelli del liceo quando si marinava la scuola. Anche quello sta sempre lì in Piazza Marconi in un immobilismo che sa di abbandono e morte e chissà per quanto resterà lì con la sua fontana sporca, il suo chioschetto mai aperto, gli alberi d’alto fusto sornioni. “Cazzo ecco la mia vecchia scuola elementare, sta sempre lì anche lei -maledetta- col suo insanabile grigiore! Quante botte che prendevamo da quella maestra isterica e sofferente di forti sbalzi di pressione! E i genitori? Se si accorgevano o venivano a sapere che la maestra ti aveva picchiato, te le davano di sopra e via di corsa in punizione. Però porca puttana scrivevamo e parlavamo meglio noi bambini di allora che non un diplomato e, azzarderei, anche di alcuni laureati di quest’era berlusconiana delle riforme, dell’informatica, dell’inglese e di tutte le altre vaccate delle ancor più vacche ministre del governo!” pensai. Anche la piazza adiacente è sempre la stessa, anzi, se possibile, dall’aspetto ancor più abbandonato e malinconico di allora, infatti non ci sono più quegli alberelli che con tanto amore e tanta solerzia ci fecero piantare per commemorare non si sa chi o cosa. All’epoca era di moda piantare alberi per commemorare… Dio quanti ne piantammo! Ogni Pinco Pallino si meritava il proprio albero, ne piantammo infatti anche nel grande curvone dell’asilo nido, prima dello svincolo autostradale in zona Catapanello. Anche quelli non ci sono più, al loro posto solo erba cattiva e selvatica che ha portato via con gli alberi anche la momentanea gloria del Pinco Pallino di turno. Un giorno decisi di fare un bel nido su uno di quegli alberi, mi convinsi infatti che il mio albero dovesse appartenere ad una famiglia di uccellini. Lo costruii con tanto amore, era molto carino e spazioso, ben intagliato per farci stare comoda l’intera famiglia, purtroppo però non vidi mai il frutto di quel lavoro perché poco tempo dopo non c’era più posto per gli alberi e la nuova moda fu il cemento, cemento ovunque e per qualsiasi cosa… così addio albero e nido e uccellini, non avevo diritti allora e, certamente, nemmeno dopo, in buona compagnia di tanta gente senza voce, persone che magari, anche per colpa di un albero tagliato di troppo e di una casa costruita dove non si dovrebbe, oltre alla voce hanno perso anche la vita. A proposito di curvone, non hanno mai sistemato quell’assurdo curvone che porta all’ingresso della scuola elementare di Piazza XXV Aprile, una piazza sciagurata come il nome che porta. C’è ora una doppia striscia bianca in bella mostra che vorrebbe ma non può evitare ciò che fatalmente succede, lo schiacciamento del piede di qualche bambino da parte di un autista distratto. Ah me lo ricordo bene, capitò anche a me, un’intera ruota mi salì sul piede, fu un miracolo mi dissero, non mi feci proprio niente, nessun dolore, nessun segno. Nessun segno, come quello che mai potrà lasciare al mondo questo posto smarrito nel tempo, odiato dalla sua gente che lo critica ma non fa nulla per migliorarlo, sfruttato dai suoi finti imprenditori che lo hanno divorato, spolpato come fosse un bel pollo dalla sua casta di politicanti da strapazzo e infine, alla prima occasione, abbandonato come un rifiuto per altri lidi più belli e convenienti.
Il mio vecchio Liceo anche lui per miracolo sta ancora lì, chissà come. Ricordo che qualcuno ci stava per lasciare persino la pelle per colpa di calcinacci piovuti dal tetto e ricordo di averlo detto persino in tv, sì perché sembra incredibile ma Patti aveva pure la sua tv, rete6, e che tv signori! Non come quelle di ora che si possono vedere solo sul pc e dalle quali può sparire di punto in bianco, come per incanto, un servizio o un’intervista! Eh no cari signori, quella era una tv che trasmetteva sul televisore e il suo segnale prendeva quasi tutta la provincia, infatti, pieno dell’orgoglio della gioventù, mi affrettai a registrare su cassetta quella che era la prima intervista della mia vita, fattami, in qualità di rappresentate, giustappunto per un crollo, il contro di un controssofitto.
“Pare invece ultimamente che la moda sia quella di dire quante più stupidaggini possibili in queste webtv per poi divertirsi a far sparire il tutto.
Ora la modernità qui è rappresentata dalla pubblicità, siamo invasi da pubblicità, il paese sembra il luogo ideale per abbindolare chiunque e fargli comprare la qualsiasi cosa, persino i supermercati di paesi lontanissimi campeggiano con i loro seducenti cartelloni giganti ricchi di “super offerte speciali” come quelle del Parco Corolla di Milazzo e la sua Coop ( peccato che non mettono fra le offerte il costo della benzina e del pedaggio autostradale ). L’unico lampo di tecnologia (anche in questo caso pubblicitaria) ci è offerto dal “nuovo” cineteatro comunale, o meglio dall’area esterna ad esso adiacente, infatti in un angolo di parete campeggia un maxischermo di ultimissima generazione che offre notizie in tempo reale e parecchia pubblicità, invero anche parecchio apprezzabile quando invita i Siciliani a non acquistare macchine Fiat difendendo così la dignità dei lavoratori di Termini Imerese e dei Siciliani in generale.
Come detto sopra, lo stesso “nuovissimo” cineteatro è in realtà fatiscente da tempo immemorabile e i calcinacci che perde sono una minaccia seria per i passanti o per chi vuole lì posteggiare. Comunque di vero teatro (anche se si chiama Cine-Teatro) a Patti non se n’è mai visto in questi anni; solo piccole compagnie di commedianti raffazzonate alla meno peggio che portano in scena sempre le stesse usurate commedie ( Filumena Marturana, Il Berretto a Sonagli, L’avaro in chiave siculo-pattese, il misantropo in salsa messinese ). Resterebbe Tindari, unico baluardo per la cultura di un intero paese, peccato che i prezzi degli spettacoli siano inaccessibili ai più e che non ci sia un posto, e sottolineo uno, dove si possa parcheggiare senza dover pagare la sosta ad una misteriosa compagnia appaltatrice, oltretutto Tindari, per i grandi registi e attori, è un po’ come un trampolino di lancio, una sala prove, per arrivare poi in forma e preparatissimi per la grande platea di Taormina. Il “gratta e sosta” si espande in lungo e il largo, persino Tindari è inaccessibile agli stessi abitanti che magari vorrebbero farsi un breve giretto per godere del panorama della propria terra! Eh no, non si può! Se si vuole fare si deve posteggiare l’auto nel grande spiazzo a pagamento, comprare il biglietto di un euro per il bus “privato” che ti trasporta per 20 metri lasciandoti nel pieno di un curvone in salita e da lì procedere a piedi, peccato poi che quello che vedi ti disgusta perché è tutto sporco, bottiglie e sacchi della spazzatura sparsi ovunque, mucche che lasciano i loro escrementi sui resti delle mura di cinta, erbacce ovunque e abbandono totale persino di strutture meravigliose come alcune delle ville lungo la grande salita, ma tanto ormai siamo abituati a tutto, anche alla spazzatura disseminata ovunque alla faccia dell’esosità delle bollette dell’ATO 2”.
L’autoradio salutava le 4 del mattino ed io mi ritrovavo ancora in giro per le strade di Patti, ero nel centro storico fra i suoi vicoli angusti e pieni di buche e i tetti con coperture di eternit, ogni tanto un sobbalzo, gli occhi che andavano in aria e trovavano, a fargli compagnia, qualche striscione di protesta: “povera gente ci vuole coraggio per vivere lì e c’è il peggio” mi dicevo “si c’è il peggio, case di edilizia popolare completamente prive di manutenzione, fatiscenti al massimo in cui piove dentro, muri anneriti dalla muffa e paesaggi desolati e desolanti. Ma infondo questa gente riesce a tirare avanti in qualche modo, magari con un lavoretto in una delle numerose cooperative aperte dal politicante di turno o, se sono più fortunate, l’amico di tutti, quello che prende sotto braccio la gente e gli dice che tutto va bene se lo voti, gli assicura un posto da articolista per fare compagnia all’autista dello scuolabus o magari ad occuparsi del verde pubblico, zappare l’orticello dell’ospedale o occuparsi senza alcuna competenza dell’acquedotto. Qualcun’altro invece sopravvive confidando sui sussidi generosamente elargiti dal comune e distribuiti dai suoi solerti funzionari.
Ci hanno illuso, ci hanno riempito di sogni e di speranze, ci hanno detto che il futuro doveva essere nostro e che noi avremmo potuto fare qualcosa per questo paese; non era vero, non era vero niente, nessun futuro ci appartiene e ci apparterrà mai, quanti amori affogati in questo bel mare! Eh certo, erano costruiti come castelli di sabbia. Il futuro che non c’è è sempre degli stessi personaggi, dei soliti vecchi, dei figli dei soliti azzecca garbugli o di assicuratori senza scrupoli, di politicanti a vita, di figli di politicanti a vita, dei soliti finti imprenditori e commercianti, il paese è loro, basti vedere l’organigramma comunale per capire tutto, basti osservare le facce sconvolte della poca gente onesta che nonostante le minacce velate, che giungono anche sotto forma di consigli da amici, non hanno paura di affrontare la loro battaglia per la legalità a testa alta.”
Eccomi arrivato in piazza, la piazza dei giovani, la piazza Mario Sciacca meglio conosciuta come Liberty. “Quanti giri a vuoto intorno a quelle quattro pietre sbrecciate, quanti compagni persi per strada, andati via… loro si che sono eroi, hanno cercato la vita e la vita li ha trovati, chi a Roma, chi a Milano, chi in Africa, ma che importa io sono ancora qui e non sono un eroe e vorrei forse andarmene, vorrei forse cambiare il mio destino, ma sono ormai prigioniero del niente come tutti infondo in questo paese. Ormai anche il mio lottare è un lottare per inerzia, con la forza del niente e con la consapevolezza che il niente accoglierà questi pensieri. Ci hanno tolto tutto e ci chiamano bamboccioni e fannulloni, ci hanno scippato la vita, forse perché non abbiamo avuto mai il coraggio di volerla realmente fare nostra, ci accontentiamo del bellissimo mare di nulla che ci circonda, del suo finto vitalismo estivo fatto di sorrisi ammalianti di cameriere che ti porgono il drink e di musiche dance che stordiscono la mente”.
Ed eccomi finalmente arrivato a casa , nel mio letto, abbandonandomi finalmente all’ultimo pensiero: “domani riprenderò le mie letture, anche se persino Kundera o Dante e Petrarca o Verne e Dickens, Pirandello e Verga, qui assumono significati diversi, sfumati come certi giorni accade a questo nostro paesaggio oppresso da una pesante cappa di umidità e nebbia che si può tagliare a fette. Si scolorano, i miei studi, inutili qui dove la cultura non è bagaglio necessario né indispensabile per andare avanti. Così chiudo gli occhi e la cuffia amica suona la mia musica, che canterà ancora tutto e niente, una musica senza musica dove tutto è niente”.

Armando Di Carlo

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