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Ultime due serate dell’Indiegeno lungo le strade che hanno fatto la storia del rock italiano.

11 Agosto 2016 Articoli per SenzaPatti


con una rotta decisa verso il futuro…
Sarò ripetitivo, ma, lasciatemelo dire, l’Indiegeno Fest ha regalato ancora – con l’indiscutibile contributo di fascino che è dato da quel tempio d’arte che è il Teatro Greco di Tindari – intense emozioni.
Due headliners – Eugenio Finardi e gli Afterhours – di tutto rispetto a sugellare il successo di questa terza edizione del festival ideato da Alberto Quartana
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Notevoli, a mio avviso, anche i contributi di Motta, Celona (col suo impegno sociale) e Truppi (con l’ironia tutta partenopea, declinata in una forma personalissima dall’impatto travolgente), meno nelle mie corde, ma tuttavia godibilissima, anche la siciliana Cassandra Raffaele; meno rispondente ai miei canoni la performance di Dente, che ho trovato decisamente fuori posto, più degna di Zelig che dell’eccellente line-up della manifestazione canora ospitata dal prestigioso palco del teatro greco.
Particolarmente toccante, per quel che mi riguarda, la carica di Eugenio Finardi che, a 66 anni, non smette di sperimentare, di lottare e di regalare suggestioni ormai quasi del tutto perdute. Un esempio di quanto asserito ce lo fornisce la canzone “Cadere sognare” dedicata ai disoccupati del Sulcis. E’ stato un po’ come vivere, tutto d’un fiato, in una sera, gli anni 70 (con quella tipica temperie sociale, di lotta politica e culturale), da me non vissutti direttamente per ragioni anagrafiche. Ma le celebrazioni per i quaranta anni di “Musica ribelle” sono tutt’altro che un’operazione nostalgia; gran parte dei brani celebri e degli altri tratti da “sugo” sono reinterpretati con rinnovato vigore. Finardi colloquia col suo pubblico e ripercorre gli esordi della musica indipendente che, dopo la dichiarazione di incostituzionalità del monopolio RAI, lo hanno visto protagonista insieme ad altri pionieri che lui non dimentica; fra questi ultimi Demetrio Stratos e gli Area e i tanti musicisti d’eccezione della scuderia Cramps. A proposito di musicisti, nulla da invidiare ai precedenti ha la sua attuale formazione, soprattutto per quanto riguarda il tastierista Palo Gambino ed il chitarrista Giovanni “Giuvazza” Maggiore, i quali hanno letteralmente stregato il pubblico con le loro esecuzioni perfette.
Grandissima carica anche per quanto riguarda gli Afterhours. Un po’ al palo con l’innovazione in quest’ultimo decennio, ma sempre eccellenti in live. Una formazione solida con dei brani che hanno fatto la storia degli anni 90 e dei primissimi 2000. Apoteosi con brani come “Male di Miele” e “Il sangue di Giuda”.
Pubblici quanto mai appassionati ed attenti, scambi di opinioni, danze e cori, cieli stellati, mare, organizzazione impeccabile, organizzatori attenti, sorridenti e generosi di commenti per la stampa mi hanno dato grande gioia e non voglio nasconderlo. A tali note di merito ne vanno aggiunte altre ancora più importanti, quali lo straordinario legame col territorio e le sinergie con le associazioni locali (entrambe le cose ricercate, volute ed attuate da Alberto Quartana) e – importante è anche l’aspetto strettamente tecnico – un service a dir poco straordinario.
Come di consueto, concludiamo il nostro breve report della settimana di lavori “indiegena” lasciando direttamente la parola agli artisti:
Giovanni Truppi ci dice:

“Bellissimo l’Indiegeno! Ne avevo già sentito parlare in questi anni ma è la prima volta che ci vengo. La location è incredibile, gli artisti che ci suonano sono tutti molto interessanti, mi piace molto. Ho incontrato diversi amici qui; ho incrociato Francesco Motta in albergo – i due, oltre ad essere amici hanno anche suonato insieme ndr. – con alcuni degli Afeterhours ci siamo conosciuti all’Angelo Mai, poi Tommaso Di Giulio, Daniele Celona, insomma, vari. Questo nuovo movimento indipendente mi ricorda quello di vent’anni fa, di cui facevano parte gli Afterhours; credo che ciclicamente la musica abbia bisogno di rinnovarsi, quindi le cose che sono più underground riescono ad emergere. Sono napoletano ma vivo a Roma da tanti anni e posso dire che, oggi più che mai, Roma è al centro del panorama artistico indipendente; non tanto per me, ma ci sono artisti come Calcutta, I Cani, Francesco Motta che stanno esprimendo belle cose. Per quanto concerne Napoli, storicamente è sempre stata una città che ha vissuto una sua storia peculiare, esclusiva, anche auto-esclusiva e più o meno continua lungo quel tracciato. Molta della musica che si produce a Napoli non riesce ad uscire dalla città.”

Daniele Celona:

“Sono innanzi tutto molto contento di essere tornato in Sicilia. E’ una delle mie isole di origine, perché mio padre è messinese e, quindi, ero anche un po’ ansioso di tornare. Vorrei poter tornare anche da turista, a dirtela tutta, e godermela anche di più. Diciamo che l’amore per l’altra isola poi, la Sardegna, ha un po’ minato le mie trasferte qui, però mentre scendevamo, mentre ero sul traghetto, ci stavo proprio pensando che le avevo viste da bambino queste coste l’ultima volta. Suonare in una location così incantevole è senz’altro il miglior biglietto di ben tornato che si possa ricevere. I live sono andati bene, finiremo a novembre e cercherò di scrivere anche il terzo disco nel frattempo e a novembre saranno ben 21 mesi di date da quando abbiamo iniziato. Un excursus di live non da poco, soprattutto in un frangente storico come questo in Italia, dove chiudono locali ed i cachet si riducono. Abbiamo fatto qualche apparizione in radio RAI, qualche comparsata in tv ed il video sulla vecchia cara MTV, che chiaramente non è più come passare negli anni 90; non c’è la stessa attenzione, la musica proprio non fa più parte della vita delle persone a livello televisivo., giornalmente, come era un tempo. L’aspetto predominante rimane comunque quello dei live e del riscontro faccia a faccia con le persone. Torino è particolarmente in forma da questo punto di vista; mi sento chiedere spesso: Ma come mai Torino in questo momento storico è così attica? Beh, è un caso, una coincidenza storica. Io analizzando e descrivendo personaggi in difficoltà vado a pescare spesso in strati sociali che sono proprio alla base e spesso li metto in contrasto, magari, coi livelli più alti, più comodi, più borghesi; questo tipo di commistione spesso crea dei contrasti, crea delle incomprensioni. In “Acqua”, ad esempio, mi limito a descrivere proprio questo, il tifoso, che chiaramente non ha i mezzi per capire una situazione particolare come quella mediorientale ad esempio, però è prontissimo a sfoderare il coltello contro il tifoso dell’altra squadra. Quindi noi siamo pronti ad un odio atavico per undici miliardari che corrono dietro un pallone e non riusciamo a capire il fatto che gente abbia visto morire i propri familiari squarciati dalle bombe e chiaramente non può fare altro che odiare. La strada della comprensione, del conoscere il diverso, del cercare di comprenderlo e di accettarlo, di sorridere anche ai propri nemici, è l’unica strada perseguibile, perché l’escalation dell’odio è quanto di più facile ci sia nella natura dell’uomo e io questo nei brani lo evidenzio sempre, ma proprio per mettere una luce di evidenza su questo aspetto della nostra natura così facile in cui cadere. Vedi, io ho fatto anche economia ed ho avuto, tra gli insegnanti, anche dei consulenti della Juventus; e quindi, la loro legge di mercato è semplicemente che se tu paghi un calciatore tot miliardi ma ti rientra in biglietti, sponsorizzazioni etc., anche se eticamente fa schifo, dal punto di vista di mercato è giustificabile. Stessa cosa dicasi per un presentatore televisivo. E’ chiaro che non è facilissimo accettare questo tipo di meccanismo, soprattutto con una povertà che sta imperando e strati che erano borghesi che finiscono nel medio ed il medio che finisce nella povertà. Però bisogna essere anche onesti in questo tipo di analisi; diciamo che la mia analisi è sempre più sulla stupidità del tifoso, della passione senza controllo. Mi piacerebbe un po’ più di musica che passi in televisione e non solo per i talent, mi piacerebbe l’abbassamento dell’IVA sui dischi e mi piacerebbe una quota di protezione della musica italiana in radio; queste dovrebbero essere misure per far respirare un ambito veramente un po’ asfittico, paludoso, della musica in Italia.”

Cassandra Raffaele:

“L’indiegeno sta crescendo piano piano e prende energie dalla gente stessa che lo frequenta, che lo visita, che lo applaude, che lo sostiene. E’ un festival che, con tutto l’ottimismo che ho dentro, con tutte le energie positive che ho dentro, è destinato a diventare grande perché è fatto da persone che amano follemente la Sicilia, il territorio e la sua cultura. C’è tanto bisogno di esprimere e condividere arte, perché penso che la bellezza dell’arte può cambiare le cose, può cambiare la gente, può avvicinare i giovani a prendere sempre più consapevolezza di quelle che sono le potenzialità di questa terra bellissima ma anche miserevolmente disgraziata, un po’ abbandonata. Io, quando penso alla Sicilia, da siciliana, la vedo sempre come una bellissima donna però che dorme e che ha bisogno di essere svegliata.
In questo clima di partenze e di ritorni, la Sicilia è un ponte e quindi collega il Mediterraneo al resto del mondo e anche con la musica può diventare un ponte. L’avvicinamento di altre realtà, da fuori, non fa che accrescere il livello di contaminazione, di cui già la Sicilia è piena. Fondamentalmente, per quello che ho visto, ci sono dei punti di forza in Sicilia, dei fuochi accesi che cercano di fare calore e di scaldare magari anche le realtà un po’ più di provincia, dove comunque c’è una grande sensibilità e una grande ricettività anche a quello che avviene oltre oceano. Io vengo da una realtà di provincia, però la mia curiosità e la mia voglia di confronto mi ha portato ad allargare i miei orizzonti; questo io sento che in Sicilia c’è. Non ancora a sufficienza; quest’onda è ancora un po’ lenta, ma la dove parte, travolge. Festival come questi possono scuotere il panorama. Il mio futuro è molto presente, lo vivo veramente con le mie date, in giro per l’Italia e anche per l’Europa; tolti gli impegni che adesso ho per questo mese, continuerò a suonare per tutto quest’anno con Chagall, me lo porterò ancora dietro, sperimentando anche delle cose nuove in questo confronto con la realtà anglosassone. Sto avendo un bel feedback anche lì e quindi non escludo di continuare a fare per tutto l’inverno la spola fra l’Italia e l’Europa. Ma ora sono felicissima di essere qui; l’Indiegeno non è soltanto un festival di musica, è veramente il dono d’amore che un siciliano ha fatto alla sua terra, Alberto Quartana appunto, che è il condottiero di questa impresa insieme ai ragazzi della Leave e tutto il supporto, insomma, che c’è attorno della squadra che lui ha creato intorno a sé. Ha deciso di illuminare tutto il golfo per una settimana; un esempio che fa riflettere e deve stimolare gli altri siciliani a produrre doni d’amore nei confronti di questa terra.”

Armando Di Carlo
Le foto di copertina e all’interno dell’articolo sono di Giuseppe Mollica

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