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Puntata IX

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Tutte le luci di Patti

17 Marzo 2018 Racconti


Le luci, poste sotto le grandi palme che fungevano da ingresso ai lidi, sembravano promanare direttamente dalla sabbia per fondersi col marrone e col verde di quelle che sembravano lingue svettanti d’uccelli. L’estate, appena sbocciata e già in fiore, faceva il suo debutto in società sfoggiando il suo vestito migliore, fatto della stessa sostanza di miriadi di stelle, trapunto di mille e mille lumi a modellarne l’incanto notturno delle curve, trasparente al chiaro di Luna. Luna crescente che illuminava di un meraviglioso gioco di luce fiamminga Il golfo di Patti, sua pista da ballo; specchio d’acqua sul quale danzavano, e si riflettevano con lei, le minute e allineate compagne gialle di Capo Milazzo, le bianche Nebroidee dal passo irregolare, le spumeggianti e rubiconde delle lampare. Più in là, sfumate, le amiche Eolie stavano a guardare, timide alla sera ma regine incontrastate di giorno, stagliandosi maestose prima dell’alta linea dell’orizzonte, sinuose e al contempo agili serpi d’acqua; la loro natura vulcanica, fatta di forme concave e convesse, creava un gioco chiaroscurale di luci ed ombre barocche tale che nemmeno l’impeto del Tirreno – se le sue acque fossero state agitate quella sera – avrebbe mai potuto domare.
Lì, sopra la rotonda sovrastante i lidi, appoggiati ad un angolo della ringhiera, un gruppetto di amici chiacchierava distrattamente. A Nigredo Moretto quella sera non interessavano affatto i discorsi dei sui amici e fingeva di dar loro ascolto con vaghi cenni del capo e delle mani. Era perplesso, frastornato da quel paesaggio che gli era sembrato sconosciuto; tutt’intorno a lui era un brulicare di suoni, canzoni stonate – come stonato si sentiva lui in quel contesto – che provenivano dal lido che aveva organizzato un Karaore, risate e commenti della gente ch stava assistendo allo spettacolo. Tutto questo gli giungeva soffocato dal rumore frenetico delle macchine che transitavano sulla strada principale, mentre in sottofondo, proveniente da una bancarella lì nei paraggi, arrivava il suono dolce e malinconico di un violino suonato da un peruviano. Per un attimo la sua mente si concentrò su quel fioco suono e, come per magia, tutti gli altri rumori e le voci scomparvero, mentre ciò che era stato un sottofondo si trasformava in un assolo dirompente di ottave ascendenti e discendenti. Quella musica non apparteneva a quel luogo, non apparteneva a lui come non apparteneva a tutte quelle persone che, forse, non l’avevano neanche notata, era fuori posto anch’essa come lui… ma lei era lì per far danzare l’Estate, lui invece si sentiva come un leone in gabbia, non aveva il senso delle ottave, non era un violino, era un uomo.
Guardò ancora una volta quel maledetto chiaro di luna che voleva penetrarlo, non era riuscito ad ucciderlo come non era riuscito a fare tanto tempo prima nemmeno il più grande Marinetti, – “ah povero Moretto!” – pensò, e gli vennero in mente dei versi dal significato oscuro:
Al chiaro di Luna,
fra flutti e spuma,
assiso su una duna,
vecchi ricordi il silenzio raduna.
Mentre evapora, il cuore fuma,
nel medesimo istante l’anima si consuma
cercando un nome a quel dolore,
provando a chiamarlo amore,
perdendo di quel seme tutto il sapore.
Così l’anima diviene prigione
Ove non s’evade e si paga pigione.
Nel silenzio cerco Dio,
ma quel ch’emerge è solo l’Io
ed il silenzio si fa brusio
che, sospinto dal vento del deserto,
reca il suo messaggio sofferto:
“Hai ucciso te stesso,
credendoti in eccesso”.

Aspettò i fuochi d’artificio, quei fuochi che imitavano il Sole, la Luna, Mercurio, Marte, Giove e Saturno, salutò gli amici e fuggì via da ciò che non riusciva a comprendere, fuggi via da quell’astro che non era a metà come quello di Bosch che tanto familiare gli riusciva.
Ma dalla finestra aperta sul grande e ridente giardino, intriso delle svariate fragranze dei fiori e delle piante che vi si trovavano ( dal ciclamino al biscus, un insieme che ricordava l’orto botanico diPalermo nel quale Goethe scoprì che “la pianta non è altro che una foglia” ), lo colsero i primi raggi del mattino, la natura, in quella terra, era un tempio incantato. Da quella grande finestra dai bordi d’avorio si riusciva a vedere un paesaggio così vasto e di una bellezza così netta che neanche un Giovanni Bellini maturo o un Canaletto sarebbero riusciti a rappresentare senza farne un’involontaria caricatura; otre le isole, il mare aperto, solcato di tanto in tanto da navi veloci che, da quella distanza, sembravano perle sfumate d’oro e d’argento, ritornando a distanze più lievi si poteva ammirare, al centro del golfo di Patti, uno scoglio a forma di fiero leone intento ad osservare il figlio che si trovava a poca distanza, alle cui cure, come premurose balie, si dedicavano brezze e flutti marini, cullandolo e cantandogli dolci melodie. L’alba, ch’aurava tutto d’intorno di porpora e violetto, rendeva ancor più grata quella terra baciata dagli dei. Sul promontorio di Tindari le colonne de’ Greci e de’Romani, fagocitate dalla vegetazione e rose dal tempo, ma perenne varco per la bellezza di Venere, in quell’ora si inchinavano più riverenti alla forza della Natura, che le dominava riversandone l’ombre a strapiombo sul mare. Da lontano si udivano sparuti campanacci di greggi al pascolo, d’intorno, sui rami, sfrigolio di foglie e cinguettio di rosignoli suonavan come archi diretti da una sapiente mano, il tutto chiosato dall’eco mista di onde e stormir di gabbiani che dai laghetti risalivan la rocca dando finanche all’osservatore meno virtuoso la sublime sensazione di volargli di sopra. Moretti si sentì quasi svenire e gli sovvenne un ricordo chissà da quali reconditi angoli della mente: “Se avrai fatto volare la terra al di sopra della tua testa, con le sue penne tramuterai in pietra le acque dei torrenti”. Poi apparve lei, l’Estate, bellissima, chiara dai grandi occhi castani, viso dolce e senza trucco, lunga gonna verde e candida maglietta di cotone leggerissima, una civetta la osservava sconcerta. Lui la vide, si smarrì e svenne.
DIAMETER SPHERAE THAU CIRCULI CRUX ORBIS NON ORBIS PROSUNT

Armando Di Carlo

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