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Su Giuseppe Pittà (Ohrasputin)

9 Novembre 2006 recensioni poeti contemporanei


Su Giuseppe Pittà (in arte Ohrasputin) si potrebbe scrivere di tutto e per delle ore, si potrebbe tentare di smembrare ogni suo componimento per cercare di carpire il significato più profondo di ogni singola parola, ma, considerando la personalità dell’artista, lui non gradirebbe affatto, si stringerebbe sulle spalle e passerebbe oltre. Oltretutto un lavoro per così dire “filologico” sarebbe totalmente infecondo nei confronti di un artista così innovatore, in cui le parole irrompono come un fiume in piena, come in cascata si rincorrono creando vortici di pensiero, a volte, come nubi di diverso calore, si scontrano producendo contrasti, tempeste di sensazioni che variano dall’illusione alla disillusione, dall’onirico al vissuto. Innovatore dico, ma non solo, egli è anche un grande interprete dei tempi suoi, e lì dove innova, nel medesimo tempo non fa altro che donarci un’originalissima visione del mondo. Tutti noi abbiamo potuto certamente ammirare il suo modo di incrociare i versi con cadenza verticale, tutti noi ne abbiamo lodato l’innovazione, ma questa “verticalità” non nasce per caso, non è solo un vezzo di questo grande autore, infatti egli l’avrà sicuramente sentita come necessario strumento per descrivere i nostri frenetici giorni.
Qualcuno potrebbe definire il suo stile narrativo “politicamente scorretto”, e forse lo è, ma solo perché i suoi versi e i suoi racconti non vogliono imitare la vita, ma sono essi stessi vita, in ogni pagina di Giuseppe Pittà le parole stesse scorrono con la forza più prepotente della linfa vitale che non conosce ostacoli, che travolge e coinvolge pure i segni d’interpunzione ( questo soprattutto in poesia ), sentiti, forse, come inutile convenzione, e ignorandoli come fecero i nostri antichi padri.
In conclusione, la forza di un grande autore è proprio quella di stravolgere i canoni, di spezzare il conformismo del pensiero e far spazio al nuovo, che , essendo tale, non può che irrompere prepotentemente, senza chiedere il permesso ad alcuno. Di tutto questo egli è perfettamente consapevole quando dichiara: “Il bello ed il brutto è che scrivo come mi pare, come mi gira, come mi viene. Nasco libero di muovermi nel mondo delle parole, lo faccio da sempre perché deve piacermi, non per compiacere…” Ma, statene certi, un autore di tal fatta non può far altro che “compiacere” tutte le menti libere e aperte.
E’ stato lavoro arduo, fra le tante mirabili poesie, selezionare quelle che più possano rappresentarlo, e spero che la scelta finale sia gradita.

sur le meme chemin – bernard seguin-poirier
piccola poesia di sospensione
flutti
di
venere
odori
di
marte
chiarori
di
cielo
nel
nostro
precipitare
da
grandi
altezze
nel
prenderci
poco
prima
del
male
del
suolo
di
questo
non
dirci
alcuna
parola
o
forse
a
fiumi
rapidi
mentre
ti
apri
mentre
ti
colmo
di
questo
scorrerci
dentro
sangue
nel
sangue
e
tutto
il
sole
nel
gioco
finale
di
esplodere
al
centro
della
galassia
nel
solo
incanto
di
ritrovarci
ancora
e
ogni
volta
nel
canto
dei
gemiti
che
incantano
nel
sogno
sublime
di
questo
nostro
sempre
nuovo
abbandono


deriva dei continenti IV – michael palmer
la
geometria
dei
nostri
sogni
pulsa
nel
solito
incalzare
degli
eventi
nella
liberazione
sistematica
di
questo
sangue
nelle
vene
confuse
del
gioco
delle
complicazioni
a
sospensione
di
orgoglio
negli
assi
cartesiani
del
dopodomani
e
luccica
nelle
tempeste
ad
uragano
nelle
folgori
del
cielo
nella
crudeltà
che
persuade
della
pioggia
delle
violenze
nella
imprudenza
dei
nostri
sensi
che
sbranano
sguardi
di
sincerità
sradicando
gli
alberi
a
lucchetto
di
scrigno
delle
preziosità
sanguina
di
verità
e
certezze
nella
lunga
scia
che
solca
tutta
la
fiamma
del
sole
confondendo
la
notte
il
giorno
nella
spiacevolezza
di
un
destino
da
poeta
che
muta
nel
fango
delle
basse
maree
contemplando
il
suo
estro
basilare
al
centro
esatto
dello
specchio
mentre
nella
convinzione
estrema
di
chi
ha
sempre
e
solo
torto
io
che
non
rivesto
il
cuore
della
poesia
mi
accomodo
sul
ramo
più
basso
a
confondermi
nel
nascondiglio
delle
strabilianti
contemporanee
mostruosità
e
nella
consapevole
convinzione
di
assegnarmi
un
altro
numero
di
partenza
così
nel
cercare
la
continuità
del
sogno
che
preferisco
mi
butto
giù
dalla
foto
di
gruppo
a
capofitto
centrando
la
nuvola
del
caos
trafitto
a
morte
dalle
linee
oscene
della
geometrica
definitiva
sconfitta
della
nostra
vittoria

Ed inoltre non si può fare a meno di evidenziare il suo grandissimo talento di narratore, riportando un brano estrapolato da un suo racconto.

“[…]I compagni ormai si sono venduti tutti allo spettacolo della tristezza, compreso Don Chisciotte. Ed io invece sono qui a sognarmi il mattino, che la luce del mattino mi ha sempre sconvolto, eppure stanotte mi fa bene sognarla e aspettarla. Una notte che non mi piace, che sembra tutti dobbiamo divertirci ed a me, se mi devo divertire a comando, la cosa mi dà il voltastomaco e mi sale la nausea in bocca. Ho solo voglia di fumarmi un sigaro di quelli di quando il Fidel era tutto d’un pezzo e chiacchierava per ore intere, sfolgorandosi di quel rum micidiale e del fumo di una intera locomotiva, non questo vecchio moribondo, che si fa riprendere tentennante e gonfioso dalle telecamere della compiacenza. Che sembra lui di essere nel gobbo sconvolgente di una fiction di gusto scadente. Serie b, cazzo di una fine.[…]

Voglio dirgli che la sua ultima sonata di flauto mi fa il solletico al colon. E glielo dico, ma lui sta ridendo che è uno spettacolo. Grrrrrrrr, che schifo, neanche la provocazione va di moda. Ma sono tutti matti questi qui o sono io che ho rotelle che vanno a tre cilindri? Ho paura della risposta.[…]

[…]Mi resta in fondo e mi muove assai lo sghiribizzo di voler mollare tutto il contenuto dello stomaco, stanotte, perché è una notte che non mi soddisfa e che odio e poi questo accecamento generale mi sta sulle punte. Mah. Quasi quasi vomito davvero. Fanculo halloween. Strafottiti.”

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