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Patti: incontro con la scrittrice Paola Mastrocola

10 Marzo 2018 Articoli per SenzaPatti Interviste


Si è svolto stamani, presso l’auditorium della Basilica Concattedrale “Santi Martiri del XX Secolo” di Patti, l’incontro con la scrittrice Paola Mastrocola.
Tale incontro, inserito nell’ambito del “Progetto lettura” ed organizzato dal Liceo “V. Emanuele III” di Patti in collaborazione con la libreria “Capitolo 18” di Patti, ha visto coinvolti gli alunni di medie e superiori del comprensorio, i quali hanno potuto presentare direttamente all’autrice dei lavori incentrati principalmente sull’ultima sua fatica, “La passione ribelle”, ma anche sull’ormai classico “Una barca nel bosco” e rivolgere, al contempo, delle domande.
Soddisfazione per il lavoro svolto e per l’accoglienza ricevuta traspare nelle parole della nota autrice torinese, la quale, da par suo (ricordiamo che Paola Mastrocola è professoressa di lettere, da pochi mesi ormai a riposo), non ha mancato di cogliere l’occasione per regalare pillole di esperienza alle scolaresche.
Di particolare interesse le riflessioni sull’importanza delle parole e del silenzio che noi di SenzaPatti abbiamo raccolto e qui vi proponiamo.

La scrittrice torna poi con la memoria agli anni settanta, che la videro studentessa in un Liceo torinese: “Era il post 68, e quindi gli anni 70 i più caldi che abbiamo avuto in Italia. Questo ha prodotto che io abbia fatto il triennio del Classico così… per caso tra i miei insegnanti ce n’erano due molto politicizzati che per tre anni non hanno mai fatto lezione e venivano in classe a parlarci di Mao Tse-tung. Questo ha prodotto il fatto che io non sappia niente di storia dell’arte, fisica e matematica. Io lo ritengo un crimine commesso nei miei confronti, quindi non ho nostalgia di questa scuola.” Poi si difende dall’accusa – mossale di frequente – di essere “passatista” e “nostalgica” dicendo: “Quando io dico <>, subito scatta l’automatismo, in chi ascolta di dire <<Ecco, è nostalgica!>>. Mettiamoci d’accordo, io non sono nostalgica, io rivendico il diritto di ricordare, perché, se non tutto ciò che è passato è bello, sicuramente ci sono delle cose positive e noi più anziani abbiamo anche il compito di fare da tramite e portare un po’ di passato nel presente.”
Rispondendo alle numerose domande circa lo studio e la sua idea di studio, Mastrocola esterna la sua teoria, in base alla quale, sopratutto da questi ultimi dieci anni, nessuno più studia, perché non sta nel mondo lo studio: “non lo vogliamo, non abbiamo tempo, abbiamo altro. Io per studiare però cosa intendo, che – facciamo l’esempio con Montale che amo particolarmente – prendiamo quella bellissima poesia di Montale che è “Casa sul mare” e ci stiamo delle ore, ma non per sapere dov’è nato, quante cose ha scritto, non è quella la scuola; era il fatto di stare su quei versi meravigliosi, soli, e quello era studiare! Che cosa ti ha detto? Che cosa devi dire tu? E vedevo queste scene penose, per cui io ero lì alla cattedra ed il ragazzo era a 50 centimetri da me e lui apriva il libro e cominciava a leggere e parlare << Allora Montale ha scritto “Casa sul mare” perché voleva dire che… >> e leggeva; ed io che lo guardavo e non lo interrompevo – perché sono crudele – continuavo un quarto d’ora, poi gli chiedevo Pascoli, stessa cosa! Lui prendeva la pagina di Pascoli, leggeva, mi guardava, leggeva, mi guardava e io alla fine gli dicevo va bene, ai a posto, quattro! Che dovevo fare! Ma lui si stupiva e diceva << ma come! Io ho parlato >>. Cos’è successo? E’ successo che noi possiamo anche entusiasmarvi, ma poi voi uscite di lì ed il mondo è un altro, il mondo è internet, le chat, i messaggini; c’è un mondo molto divertente, noi stiamo molto bene oggi, siamo tutti molto felici, abbiamo, come dire, delle vite piene, ricche di divertimento. Non so qua come sia, ma a Torino io quando esco, dalle sei di sera in poi sono tutti quanti in giro a bere, a mangiare… C’è una gioventù che, insomma, non so come possa fare, ma sta a bere e mangiare tutta la sera e la notte. Quindi avete molto e noi siamo molto felici, abbiamo tutti molto, abbiamo molta tecnologia, molta tv, molte relazioni, molta vita sociale. Perfetto! Però abbiamo perso il tempo di concentrarci, di stare anche un po’ con noi stessi. La definizione di studio in questo libro è di una banalità assoluta ed è: “Stare fermi, seduti, per ore, davanti ad un libro, soli, sconnessi, per memorizzare e senza nessuno scopo esterno”, cioè non è che studio per… per trovare lavoro, per diventare… Io studio, sono concentrata in quello e in quel momento sono felice. Però la scuola non ci aiuta, infatti, nel libro, io a un certo punto dico << spero che scappiate da scuola per studiare >>, perché la scuola vi sta chiedendo altro, vi sta chiedendo la competizione, vi sta chiedendo di riempire le crocette dei test, di avere un punteggio. Ma questo non è studiare, questo è stressare. Noi eravamo avvantaggiati perché avevamo una vita più povera, non c’era niente, uscivamo da scuola, la tv un’ora al giorno, due canali avevamo, non c’erano neanche le feste di compleanno. Però, possiamo nel nostro piccolo, come individui, ribaltare il mondo e tornare a ritagliarci qualche momento più spirituale?Più profondo? Più intenso? Più felice anche? Perché io non credo che siamo così felici di vivere sempre fuori, sempre connessi, sempre in relazione con tutti tranne che con noi. Ogni volta che spegniamo il telefono per un’ora è già una rivoluzione; non dico di diventare come eremiti che si cibano di radici, però… se lo fa uno, poi contagia l’altro, le rivoluzioni partono così. Quelle cose in piazza non approdano da nessuna parte secondo me, ma questa è un’idea personale.”
Vari gli interventi degli studenti, fra i quali voglio proporne integralmente uno – per altro apparentemente non programmato – letto da un ragazzo del Liceo Scientifico che ha particolarmente entusiasmato l’autrice:
<< “Io devo studiare sodo e preparare me stesso perché prima o poi arriverà il mio momento”, questo pensava Abamo Lincoln, questo quello che dovremmo pensare tutti. E fingiamo di interessarci allo studio nel momento in cui, forse per interpretare la parte di studenti modello, imbottiamo le nostre cartelle dei libri con cui dovremmo assolvere il nostro dovere. Fingiamo di interessarci allo studio quando in vista dell’interrogazione o del compito, impariamo, forse meccanicamente, capitoli e capitoli arretrati. Fingiamo di interessarci allo studio ma in cuor nostro sappiamo che Dante, Petrarca, l’età napoleonica e chi più ne ha più ne metta, rimangono confinati nelle loro scarne pagine. E se seguiamo l’insegnamento del professor Keating, se guardiamo la situazione da un’altra prospettiva, possiamo facilmente vedere e constatare che anche loro fingono di interessarsi allo studio. Ebbene sì, anche loro che ci incitano a studiare, a non vivere come bruti, a seguir virtute e canoscenza, fingono di interessarsi allo studio. E con loro intendo quei politici che, senza remore hanno permesso che la scuola diventasse un’azienda; con loro intendo i professori che oggidì pretendono dagli alunni esclusivamente una cultura libresca; con loro intendo i dirigenti scolastici che non vedono l’alunno come alunno, ma l’alunno come iscrizione; con loro intendo coloro i quali concepiscono lo studio unicamente in funzione del lavoro; con loro intendo tutti quelli che hanno reso la scuola una “prostituta”. Costoro sono i promotori della politica dell’ignoranza, sono gli assolti/coinvolti che accusa De Andrè nella Canzone del Maggio. “Costoro” è anche il Liceo Scientifico di Patti che insegna la legalità e la civile convivenza con la porta di sicurezza rotta e senza il certificato di agibilità. E’ il mio caro liceo a cui manca la sede. E’ il mio liceo di cui non importa niente a nessuno; in cui per timore dei “piani alti” pochi hanno il coraggio di parlare. E’ il mio caro liceo che non si accorge, troppo intento a far rispettare le proprie regole, di star diventando minuto dopo minuto una scuola anonima tra le scuole anonime. E’ il mio caro liceo in cui chi si oppone con zelo a omertà, chi è convinto che valga ancora la pena di lottare in difesa dello studio, l’otium innalzato da Cicerone, o studente o docente che sia viene zittito. E’ la mia cara scuola che tra progetti e “progettini” non sa, o finge di non sapere, di star cadendo sempre più in basso. E lo dico non per screditare ma per difendere. Lo dico perché anche io, come molti altri ragazzi della mia scuola, sono convinto che la situazione possa ancora cambiare. Lo dico perché credo nella forza emendatrice dello studio. Lo dico perché sono sicuro che il Sessantotto sia servito a qualcosa. Lo dico perché pure io penso che “se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”. Lo dico perché non posso non dirlo , perché è inaccettabile “accettare” l’oscurantismo, il menefreghismo e l’omologazione; perché è intollerabile essere partecipi del degrado. Probabilmente sono soltanto un povero illuso ma anche ora mi chiedo: “perché non pronunciamo tutti quanti “mea culpa”? Perché ci insegnano l’algebra, la chimica e l’italiano ma dimenticano sempre di “insegnarci” che abbiamo il diritto/dovere di cambiare? Abbiamo paura della rivoluzione o non abbiamo toccato ancora il fondo?” >>
Questa la lettera, qui a seguire il video della positiva reazione di Mastrocola.

Vorrei qui rompere, per un istante, la routine dei soliti asettici articoli cronachistici e rivolgere col cuore alcune mie considerazioni direttamente a questo ragazzo. Sinceramente non credo che la Mastrocola abbia ben compreso il tuo appassionato intervento, perché, in fondo, una risposta, anticipata, te l’aveva già data; lo studio solitario, la lettura fine a sé stessa; perché le lotte di piazza, gli slogan, il tentativo di cambiare le “Istituzioni” e le regole, saranno pure cose belle e appassionanti ma, a dirla tutta, servono a poco. Io, alle ottime considerazioni della scrittrice, aggiungerei che non è neanche sufficiente lo studio solitario, che serve un cammino in solitaria, che serve l’esempio di vita per cambiare le cose. Non voglio dirti che non devi credere a quanto fatto nel ’68, non voglio dirti che devi rinunziare alla lotta per migliorare le tue condizioni scolastiche insieme ai tuoi compagni, non voglio disilluderti va. Voglio invece dirti che veramente, veramente, veramente hai una prospettiva diversa, parallela se vogliamo, cui guardare, verso cui tendere. Hai citato le parole di un gran film, croce e delizia della mia generazione, e proprio della prospettiva, del punto di vista diverso vorrei riflettere insieme a te. La tua passione – che si sente, che si tocca con mano – caro ragazzo – e a questo serve il ricordo (non nostalgico), a questo serve l’esperienza, come giustamente diceva la Mastrocola – e le tue stesse parole sono in tutto simili a quelle mie e a quelle di molti miei compagni quando avevamo la tua età, a quelle dei ragazzi della generazione di Paola Mastrocola, a quelle dei sessantottini stessi, a quelle che furono dei due insegnati citati dal nostro odierno oratore. All’epoca in cui anch’io ero liceale – al ginnasio per l’esattezza – queste tue rivendicazioni erano all’ordine del giorno, anch’io le facevo, anch’io con le tue medesime parole, coi tuoi riferimenti culturali. Seguivo, seguivamo dibattiti, partecipavo, partecipavamo in qualità di delegato/i e di rappresentate/i, a decine di “programmi e programmini”, citavamo De Andrè e Guccini che, al confronto, i bigliettini dei baci Perugina impallidivano. Potrei portarti come esempio concreto – perché sì, le parole sono importanti, ma unite agli esempi pratici lo sono ancor più – la Conferenza Programmatica “La scuola verso il 2000” che si tenne nel 1997; parlammo in videoconferenza con l’allora ministro della P.I. Berlinguer, intervistammo e dibattemmo con onorevoli nazionali e regionali, prendemmo mille appunti, consegnammo parola per parola, tutto, nero su bianco alla storia, alla storia di seconda fascia, bene inteso, quella che non si ricorda perché non vale la pena, perché fa paura poi da rileggere a distanza di anni e constatare, senza neanche troppo sconcerto, che nulla è cambiato e se lo ha fatto è cambiato in senso negativo; quella storia di seconda fascia fatta da attori navigati ed insignificanti comparse (noi). Sì allora, caro ragazzo, che “noi tutti sappiamo che sei Dio muore è per tre giorni e poi risorge”, ma non nel mondo in cui lo intendi tu. Se era per queste lotte, per queste parole che corrono veloci e vuota di generazioni in generazioni, allora campa cavallo che l’erba cresce! No, ora che ho qualche anno in più e che di suole ne ho consumate, ho trovato in quei versi un senso diverso dal tuo, non dico superiore, attenzione, dico diverso, ulteriore… un po’ come quando ti parlano dei quattro significati delle Scritture (letterale, allegorico, morale e anagogico), per restare in tema di divinità (eh sì, anche noi avevamo la nostre dose quotidiana dei vari Croce, Sapegno etc., e anche per noi “La Divina Commedia [era] sempre più commedia al punto che ancora oggi non so se Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito”). No, in verità, io ho scoperto di essere diverso proprio quando, guardandomi allo specchio, mi sono visto esattamente come quelli che contestavo, che criticavo e chiamavo “omologati”. Ad un certo punto, a furia di citare De Andrè, Guccini e persino Lolli, mi sono scoperto esattamente per quello che ero, omologato! Ero come mi volevano loro, contestando con le modalità con cui contesti tu ora, capii, improvvisamente, che ero esattamente come mi volevano loro! Omologato, leva per la politica (sinistra, destra… che importa, tanto poi muori democristiano si diceva un tempo), UdS, GdS… ero una sigla fra miriadi di altre sigle, niente di più. Eppure ci credevo davvero, come te probabilmente; ero sicuro di andare nella direzione giusta. Sai quando iniziai a capire di essere una sigla? Quando iniziai a capire che, fra le due strade divergenti nel bosco, io avevo preso inconsapevolmente quella che non era meno battuta? Quando iniziarono ad arrivare le risposte dei politici, quando iniziarono a prendermi sotto braccio e a dirmi che sì, avevo ragione e si doveva e poteva cambiare tutto e che potevo farlo con loro, nel loro partito, anche se avevo 16 o 17 anni. Ad un certo punto mi sono sentito proprio come “una barca nel bosco”, Gaspare, tale e quale. Molti miei compagni, con le stesse identiche parole, con le medesime richieste “sacrosante”, finirono nel “partito”, finirono per fare esattamente gli stessi discorsi, sottobraccio, a quelli più giovani, a spacciare tessere che, anche qui, i baci Perugina impallidivano, finirono stampati sui santini elettorali quando andava bene e dai santini alla poltrona quando andava male. Guarda, in tutta sincerità, ormai sono dell’idea che quelle rare volte in cui i politici agiscono, fanno danni incalcolabili; sono convinto anch’io, come la Mastrocola, che la mia scuola sia stata meglio della tua e vedi che per portarla al livello scadente in cui versa (attestato da tutte le statistiche del caso, anche equiparando anno per anno) ce ne sono volute di “riforme”eh! Abbiamo una classe dirigente scadente anche perché ha frequentato scuole scadenti ed università (ci arriverò al punto, vedrai) ancor più scadenti senza studiare, magari proprio “lottando” per il diritto allo “studio”. Il tuo liceo passerà presto, come le tue illusioni che qualcosa possa migliorare. Cadranno sempre ( va bé, dico sempre per dire ora e nei prossimi anni, non in senso assoluto) calcinacci dai tetti, sempre non ci saranno aule adeguate ed a “norma” (di chi?) e strutture moderne per fare esperimenti di laboratorio o educazione fisica; purtroppo viviamo in una Nazione/non Nazione che ama visceralmente crogiolarsi nel particolarismo e nel personalismo, con buona pace della collettività (non siamo svedesi o norvegesi va… siamo italiani). E allora, l’unica via possibile, almeno a breve termine, credo sia proprio quella di cambiare sé stessi. Vuoi il diritto allo studio? Leggi, leggi tutto, anche e sopratutto le cose che non condividi, studia e studia anche per! Ci sono per e per! Questa cosa del puro piacere, del piacere personale della Mastrocola non tanto la condivido; studia per te! Per cambiarti, per migliorarti, per arrivare a scoprire tutti e quattro i “livelli” e anche uno o due livelli in più. Poi arriverà l’università; un altro mondo, molto più balordo e ingiusto di quello che oggi a te appare come il massimo grado di discriminazione. All’università troverai professori con ancor meno voglia di lavorare (alcuni anche di vivere pare) che hanno i tuoi professori di liceo e – ti sembrerà strano, ma così spesso e volentieri è credimi! – anche meno preparati. Ti ritroverai senza guida; solo qualche falso tutor, tutor sulla carta (che è meglio che non lo stai a seguire perché sicuro ti fa volare giù in qualche burrone), con aule ancora più vecchie, anguste, inadeguate e cadenti delle tue (specialmente se farai lettere), non avrai campanelle né bidelli, avrai scale per sederti e leggere libri scritti in pessimo italiano, anche quando magari sono di “Storia della Lingua italiana”, spacciati per autentici fuoriserie, depositari di verità assolute ed incontrovertibili, avrai colleghi che fanno esami da soli, a porte chiuse, quando non ci sono sessioni d’esame e che prederanno trenta, sì proprio quelli lì che tu avevi sentito ripetere e avevi già pesato come autentiche capre da pascolo, avrai professori che copiano libri per fare i professori e per far vedere che pubblicano e che sono alla moda e fighi e radical chic; avrai professori di un’ignoranza tale che ti vergognerai di averci fatto esami e ti faranno dubitare circa la validità del titolo che andrai eventualmente a prendere; avrai le tue dispense con le lezioncine uguali uguali alle dispense che pure il tono della virgola… avrai quei professori che sì, però “se frequenta!” è un buon voto garantito e se poi scrive davanti ai miei occhi il “questionario di gradimento!” ah beh, allora è il non plus ultra! Avrai colleghi che andranno ad insegnare e che non sapranno distinguere un congiuntivo da un condizionale, ah però sicuramente sapranno tutto sull’organo, su quante canne può avere e quante ottave può misurare. Tante belle cose… e vorrai lottare e lottare, via ad altre proteste, ad altre riunioni studentesche, ma senza crederci più molto che tanto, alla fine ti serve quel dannato pezzo di carta per fare quello che “volevi” fare. Anche lì le strade saranno sempre due, fare il rivoluzionario da dentro, per cambiare il sistema “perché si può!” (come dicono quelli bravi), provarci finché puoi (cioè fin quando non sarai così vecchio da capire che non hai potuto, ma magari invitare quelli più giovani di te a farlo) o fregartene davvero ed “uscire dal gruppo”, “scappare dalla scuola” come dice la Mastrocola e fare da te. Chi ti parla ha optato per la seconda, giusto ad un paio di passi dalla “meta”, ha “bruciato la sua laurea, vive solo di parole” (fai conto che la mia tesi è nel cassetto e lì la lascerò fin quando varrà più di un misero pezzo di carta per un misero lavoro da ignorante istituzionalizzato -perché non pensare che la gran parte di quelli a cui danno quel pezzo di carta siano meritevoli eh, sappilo, e sappilo adesso!), troppo “stretto in libera sorte”; detto questo, non ti consiglio la mia strada, per niente; ti dono semplicemente la mia esperienza. Ma, in fondo, hai ragione tu, “meritiamo un’altra vita, più giusta e libera se vuoi…”; libera, giusta, parole su cui meditare, soli, in silenzio, sconnessi, per ore. Ciao caro ragazzo.

Al termine dell’incontro abbiamo intervistato la dirigente scolastica, professoressa Grazia Gullotti Scalisi; qui l’audio

 

 

Nella giornata precedente, abbiamo incontrato la scrittrice Paola Mastrocola in occasione della “firma libri” presso la libreria “Capitolo 18” di Teodoro Cafarelli; qui l’audio

A margine segnaliamo il malore di una studentessa, forse dovuto ad una qualche allergia, per il quale sono state necessarie le cure del 118. Alcune polemiche ha suscitato il ritardo dell’ambulanza, giunta in loco circa trenta minuti dopo la chiamata.
Auguriamo alla giovane studentessa una pronta guarigione.

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