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“Pagate fratelli”- l’intervista a Salvo Bonaffini

22 Marzo 2013 articoli per Scomunicando.it Cinema


Il film.
Girato interamente in Sicilia – precisamente a Mazzarino, nei pressi di Gela- , questo film racconta un episodio di cronaca occorso a cavallo fra gli anni ’50 e gli anni ‘60: il processo a carico di quattro frati cappuccini del convento di San Francesco a Mazzarino, in provincia di Caltanissetta, accusati di omicidio, violenza, estorsione e collusione con la mafia. Dopo un lungo processo e nonostante una sentenza di proscioglimento in primo grado ottenuta da un tribunale siciliano, i frati furono condannati, nell’ultimo grado di giudizio tenutosi a Perugia, i frati furono condannati nonostante fruissero della difesa di due principi del foro.
Il regista Salvo Bonaffini ricostruisce questa vicenda controversa con un cast di attori siciliani amati dal grande pubblico, tra cui Tony Sperandeo, Luigi Maria Burruano e Alfredo Li Bassi.
Il film ha senz’altro dimostrato che anche nella nostra terra, pur non essendoci i finanziamenti, si può produrre qualcosa di buono a livello cinematografico. Un lavoro non pubblicizzato dalla grande distribuzione e realizzato con molte difficoltà. In particolare, ascoltando le testimonianze di attori e regista, difficile è stato il reperimento dei costumi d’epoca e l’ingaggio di quella parte del cast più nota al grande pubblico. Ciò che più si nota in questa produzione indipendente è la volontà della regia di non perseguire particolari finalità commerciali, di non andare dietro all’ideologia del marketing ma di seguire le proprie emozioni; una storia narrata per passione, col cuore di chi ama la propria terra e desidera svelarne anche gli aspetti più controversi e oscuri.

Intervista di Armando di Carlo a Salvo Bonaffini, regita di “Pagate fratelli”

Come mai l’idea di rispolverare una storia controversa sviluppatasi agli inizi degli anni 60?
Da premettere che è una storia accaduta nel mio paese, che ha reso popolare Mazzarino affiancato a questa storia dei monaci. Spulciano un poco, leggendo qualche libro, documentandomi su alcuni giornali dell’epoca, mi ha entusiasmato il fatto che dei frati cappuccini, in nome di San Francesco, incominciassero ad essere intermediari tra la mafia ed il popolo, in antitesi a quella che dovrebbe essere la figura di chi riveste un saio.
All’epoca anche l’opinione pubblica si divise fra innocentisti e colpevolisti, perché questi frati erano amati e avevano molte persone su cui poter contare, una gran parte del popolo che li amava per ciò che rappresentavano.
Ho avuto pure la fortuna di intervistare dei poliziotti che seguirono le indagini ( hanno circa 97 anni oggi ) e raccontano di un carattere di questi frati molto forte, carismatico, convinti di appartenere ad un potere forte e di non poter essere toccati né giudicati. Addirittura, mi raccontava un poliziotto, durante l’interrogatorio uno dei frati si permetteva di prenderli in giro e ripetere di continuo: “mi può ripetere la domanda? Non ho capito!”. Un vero e proprio atteggiamento mafioso.
Dall’altra parte, ho visto quella parte dello Stato – ad esempio il Maresciallo che condusse le indagini, spiega ancora Bonaffini – che ha esercitato una forza positiva, che ha avuto il coraggio di andare fino in fondo.
Un’altra cosa che mi colpì tantissimo è il fatto che il Cardinale Ruffini, massimo esponente della Chiesa siciliana, dichiarò che “la mafia non esiste”. Queste cose mi hanno fatto pensare e ritenere che sarebbe stato possibile realizzare un film per far riflettere.
Il film lascia qualcosa in sospeso, ci sarà un seguito? E’ un film contro la Chiesa?
No, non è per il momento previsto alcun seguito; alcune delle scene finali non hanno avuto una spiegazione certa nemmeno al termine delle indagini e difficilmente si riuscirà a fare piena luce su alcune circostanze.
Molti mi hanno accusato di volere fare un film contro la chiesa, ma non è assolutamente il mio obiettivo. Non ho nulla contro la chiesa, anche la chiesa, al suo interno, ha uomini giusti e uomini meno giusti; quello che condanno io della chiesa è che non ha il coraggio di fare pulizia al proprio interno, di respingere chi, approfittando dell’istituzione, si comporta male. A tutt’oggi la Chiesa copre reati gravissimi come la pedofilia. Parliamoci chiaro, non è ancora una chiesa aperta, vicina al popolo e ai poveri.
Il marcio è in tutti i settori, così come ci può essere il poliziotto o l’insegnante corrotto, troviamo anche “uomini di Dio” corrotti.
All’epoca questa storia fece il giro del mondo; addirittura alcuni anziani mi dicevano che nei giornali c’era la rivoluzione di Guevara e poi, nella pagina a fianco, lo scandalo dei frati di Mazzarino.
All’epoca la Chiesa si difese parlando di cospirazione comunista. Comunque è stato un periodo storico molto importante, di transizione fra una Sicilia arcaica e una più moderna. Io credo in Dio, sono molto credente, ma la fede e l’appartenenza alla Chiesa sono due cose molto differenti.
Questo è il tuo primo lungometraggio; quali altre esperienze fatte e quali in programma?
In questi giorni stiamo girando, a Barcellona Pozzo di Gotto, un corto che ha per protagonista un ragazzo omosessuale che viene preso in giro dai compagni di classe. Questi fenomeni di bullismo sono troppo frequenti. Noi stiamo cercando di sensibilizzare le giovani generazioni su questa tematica, che è un po’ un tabu, con l’ausilio dell’arte cinematografica; in questo caso col contributo dei ragazzi dell’Istituto “Valli” di Barcellona che sono i veri protagonisti del lavoro dal titolo “Diverse esistenze”.
I progetti per il futuro sono numerosi; mi piacerebbe ad esempio girare un fil su Libero Grassi. Mi piace più seguire il filone delle storie vere, perché la realtà molte volte supera la fantasia.
Armando Di Carlo

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