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Mancu li cani!

28 Settembre 2017 Idee e Attualità


Ultimamente scrivo di rado e con sempre minore voglia di raccontare la realtà che mi circonda; è chiaro, infatti, che chi racconta (almeno nel mio caso) lo fa perché crede che raccontare sia un po’ guarire, tentare di migliorare le cose ed è altrettanto chiaro che questa speranza in me sia da tempo pressoché svanita.
Tuttavia questa storia, storia di cani e di uomini (o viceversa) in tutta la sua banalità e semplicità, credo valga la pena raccontarla. Raccontiamo allora!
Tutto ebbe inizio in un soleggiato pomeriggio di fine estate, quando una persona degna della mia stima (una mia amica sì, non mi faccio problemi a svelarlo) decise di lasciare il suo paese per qualche ora per farsi una passeggiata in una nota frazione turistica del nostro comune in compagnia di una parente.
Durante tale passeggiata, fra pietre antiche, passanti, animali al pascolo e quant’altro si può solitamente trovare in quel luogo in tale periodo, proprio alla fine di tale escursione, ecco che udì un abbaiare disperato.
Si sporse e, da una scalinata sgarrupata, fra casette sgarrupate, osservò un cane, legato ad una vecchia parete con una corda lunga non più di un metro, senza acqua, senza ciotole, fra rimasugli da rosticceria andati a male, visibili lungo tutta la pubblica strada. Si sporse dicevo, trovò il cane ed insieme con lui l’inizio di questa grottesca avventura.
Il cane, un pastore tedesco, si vedeva chiaramente che soffriva, versava in condizioni precarie, era un po’ sporco e aveva delle croste sulle punte delle orecchie. La sera stessa volle raccontarmi, amareggiata di questo cane.
Le consigliarono di tornare l’indomani per capire se l’animale fosse lì per un fatto occasionale o se, al contrario, fosse tenuto lì assiduamente. Si recò nuovamente sul posto con una delle volontarie animaliste del suo paese ed il pastore tedesco stava ancora lì. Entrambe decisero allora di recarsi a Patti per vedere il da farsi cercando un approccio con le associazioni del luogo. Per prima cosa pensarono di rivolgersi ai carabinieri, i quali però, impegnati con qualcuno che si era tagliato, dissero che si poteva fare solamente denuncia penale, che era meglio rivolgersi ai vigili urbani, che magari avrebbero potuto anche metterli in contatto con le associazioni animaliste locali. Giunte dai vigili, anche lì come dai carabinieri, c’era un solo funzionario ad accoglierle ed essendo tardo pomeriggio mancava il comandane. Non potendo rivolgersi al comandante, non avendo ottenuto informazioni di particolare rilievo e non avendo il cuore di fare una denuncia e lavarsene le mani (volendo dunque vedere coi propri occhi se qualcosa si fosse realmente attivato), decisero di procrastinare la segnalazione, in attesa di avere dei ragguagli ulteriori dal comandante. Dopo varie peregrinazioni, riuscirono, finalmente, a trovare alcuni contatti di tali associazioni locali; in particolare gli fu segnalata un’associazione che le due donne, speranzose, contattarono immediatamente.
Una di queste volontarie, avendo avuto apparentemente chiare le cose, disse che l’indomani mattina si sarebbe recata di persona a fare la segnalazione ai vigili. Segnalazione che, a detta della stessa volontaria, fu fatta, dopo due tentativi vani perché la comandante era altrimenti impegnata, verso l’una di quella stessa mattina. Suddetta volontaria telefonò alla mia amica dicendole che il tutto era stato segnalato e che, comunque, per maggiore sicurezza sarebbe stato opportuno recarsi di nuovo in loco insieme, perché, sempre a detta della stessa, un veterinario, con due vigili urbani, si era lì recato e aveva trovato il cane libero, con le ciotole e tutto a posto; ma che la cosa non sembrava convincerla.
Nel mentre io, che poco o nulla avevo a che fare con volontari e animalisti non possedendo cani, cercai di darle una mano (non essendo lei della zona e non avendo altri contatti), cercai di contattare vanamente alcuni conoscenti che ritenevo potessero essere d’ausilio alla causa, senza però, purtroppo, ottenere risposta.
Questa amica mi chiamò, dunque, per essere accompagnata lì in quella frazione in quanto la volontaria, che inizialmente le aveva detto che avrebbe voluto andare insieme a lei, le comunicò di avere degli altri impegni.
Ci recammo sul posto e dalla strada non si vide più il cane, non vi era più neanche la corda. La mia amica, un po’ allarmata, comunicò la cosa alla volontaria, la quale la mise in contatto con un’altra volontaria che sapeva essere sul posto in quanto lavorava proprio lì, in un noto centro turistico confinante proprio su altri terreni di proprietà del padrone del cane.
La donna in questione ci accolse nella nota struttura d’interesse storico-culturale-paesaggistico e si dimostrò alquanto disponibile. Dichiarò di conoscere bene il proprietario dell’animale e di non avere più rapporti perché non condivideva il suo modo di gestire gli animali. Facendoci posare lo sguardo su una recinzione ai margini della struttura stessa, ci indicò tre altri cani, dicendoci che uno di questi era stato dello stesso e che ora era lei a prendersene cura, in quanto affetto da rogna e leishmaniosi e mai curato, lasciato nelle stesse condizioni del cane di cui la mia amica si stava preoccupando in queste circostanze. Queste rivelazioni naturalmente accrebbero la sua preoccupazione per le sorti dell’animale. Ci disse inoltre che fu lei a pagare circa 1.500 euro di sua tasca per le cure e a salvare la vita a lui e agli altri due cani lì presenti in quanto, avendo attaccato in branco delle pecore, avrebbero rischiato di essere soppressi. Ci disse di aver costruito a sue spese la recinzione e indicò il nome del cane datogli dal padrone e quello dato da lei allo stesso animale, che poi era, per scherno, quello dell’ex proprietario stesso. Ci accompagnò, all’interno della struttura, in quella parte che confinava con la proprietà dell’uomo che, pur protetta da ampie recinsioni, consentiva una vista eccellente sulla stessa. Frattanto, proprio da lì, scattai alcune foto meravigliose dell’indiscutibilmente affascinante panorama. Nel mentre, la volontaria, assicuratasi che fosse l’ora di chiusura, lasciò liberi i tre cani da lei curati e fischiando per chiamarli all’ordine, attirò anche il cane in questione che così si palesò abbaiando, riconoscendo il richiamo della donna. Il cane era nuovamente legato ad un metro di spago, senza cibo e senza acqua, senza cuccia, all’addiaccio, pur essendo le previsioni meteo non favorevoli. La donna ci confidò che l’uomo in questione aveva a carico già due diffide precedenti e disse che l’uomo aveva pensato fosse stata proprio lei a segnalarlo e che anche per questo motivo non si parlavano più; ci confidò anche che erano morti di tetano alcuni suoi cavalli. Dati gli esiti di questo “sopralluogo”, le due volontarie pregarono la ragazza di andare a parlare col proprietario del cane per fargli capire che, per il bene dell’animale, sarebbe stato meglio darlo in adozione, viste anche le precedenti segnalazioni che l’uomo aveva avuto. Così fu fatto; ci recammo dall’uomo che, chiamato da un vicino, si sporse dal proprio balcone. La mia amica riferì all’uomo quanto concordato con le volontarie. L’uomo, inizialmente non predisposto a cederlo, chiese del tempo per riflettere e invitò la mia amica a presentarsi l’indomani.
Nel mentre un’amica comune la mise in contatto con un’ulteriore volontaria che si era detta disponibile ad uno stallo gratuito in attesa di adozione; adozione che era comunque già stata trovata.
L’indomani, come d’accordo, la mia amica e quest’ulteriore volontaria, si recarono nuovamente dall’uomo e si trovarono tutti d’accordo che il cane potesse andare in adozione. L’uomo firmò un documento provvisorio, redatto al momento, ed il cane fu accompagnato allo stallo dove rimase per circa tre giorni.
Sembrava tutto risolto, il cane non era più costretto in catene, godeva di cibo e acqua a volontà, datigli da chi se ne poteva prendere cura, e, soprattutto, di un buon riparo.
Tuttavia, durante questi giorni di permanenza all’interno dello stallo, qualcosa ribolliva fra le volontarie. Iniziarono a circolare post diffamatori sul noto social network Facebook in cui, sebbene mancassero nomi e cognomi, erano ben chiari i riferimenti e in cui si faceva riferimento a presunte trafficanti di animali, pur avendo le stesse denunciato inizialmente le condizioni precarie in cui versava l’animale e pur essendo state le medesime a segnalare la cosa alle autorità.
Sempre iscritto, le stesse, si vantarono di aver rifornito il proprietario di una cuccia, di una rete e dei paletti per costruire una recinzione.
Il giorno prefissato per l’appuntamento all’anagrafe canina detto proprietario, avendo cambiato idea, chiese di poter avere in dietro il cane nonostante avesse già firmato una cessione provvisoria.
Avendogli chiesto le motivazioni, l’uomo rispose che era stato persuaso a riprenderselo dalle stesse volontarie che avevano fatto l’esposto ai vigili che, a detta dello stesso, gli avrebbero detto che aveva fatto male a cederlo con motivazioni diffamatorie verso la volontaria che si occupava dello stallo e dei futuri proprietari adottivi.
Quando gli fu chiesto se avesse ricevuto cuccia, rete, paletti e quant’altro le volontarie avevano asserito di aver dato, l’uomo rispose di non aver ricevuto assolutamente alcunché.
Rassegnate dall’insistenza dell’uomo, che disse di essere molto affezionato all’animale, del quale non si era potuto occupare adeguatamente per problemi personali (ammettendo dunque egli stesso di averlo trascurato), la mia amica e la volontaria hanno reso il cane al signore in questione.
Si spera che almeno le signore in questione si prendano la responsabilità di coadiuvare il proprietario nell’assistenza dell’animale qualora fosse impedito, visto che più che pensare al benessere di queste creature sembrano impegnate attivamente in acredini e diffidenze reciproche.
Parlando con l’uomo, è emersa anche un’altra versione rispetto ai tre cani contenuti nella recinzione del sito di cui ho scritto poco sopra. Stando alla ricostruzione dello stesso, infatti, il cane che la volontaria che lavorava lì aveva asserito appartenesse all’uomo, era un trovatello da lui accudito e non di sua proprietà e che comunque, pur essendo ospitato oramai lì, non fece mancare il suo supporto nel prestargli le cure, con delle punture. Gli altri due cani dovrebbero risultare registrati a nome del Comune.
Tutto questo mi fa riflettere sulla gestione dei randagi nel nostro territorio; non solo sui volontari ma anche sul Comune e su chi d’ufficio dovrebbe controllare, monitorare e preservare tali creature e anche l’incolumità delle altre specie e delle persone stesse. Più di una volta, nel corso degli anni, mi sono occupato di argomenti simili ma questa ulteriore vicenda getta nuove forti ombre sull’intera gestione di tale settore. Nello specifico mi è stato segnalato il caso degli agnelli ammazzati da un branco di cani all’interno del quale si trovavano anche i tre cani ospitati nel sito in questione, di gatti sterminati durante le scorribande notturne e di turisti in fuga, alcuni attaccati e costretti a cercare riparo persino sopra dei tavolini di un bar; tutte cose recenti, successive alla costruzione della recinzione in questione. Penso anche alle condizioni di illegalità palese in cui versa quello che viene definito “canile comunale”. Mi chiedo in che modo il Comune (a parte l’acquisto sporadico di croccanti) si occupi degli animali ad esso intestati e come sia possibile che li faccia risiedere in quel determinato luogo, a maggior ragione se pericolosi come sembrerebbe emergere da alcune testimonianze. Mi chiedo in che modo si vigili sulla gestione di questi animali demandata a volontari e privati. Mi chiedo chi si debba prendere carico delle segnalazioni di eventuali maltrattamenti, abbandoni, aggressioni etc. etc.; se ogni caso divenga un’odissea simile a quella vissuta dalla mia amica. Sono oramai quotidiane anche su facebook le accuse reciproche fra volontari, forse più numerose delle segnalazioni di animali smarriti e crescenti, purtroppo, sono anche i casi di avvelenamento e abbandono. Certamente questa situazione è portata all’estremo da una totale assenza dell’amministrazione e temo che, per via degli interessi divergenti e variegati che attività di questo genere fatalmente determinano, si creino col tempo ancora maggiori problematicità e disfunzionalità.

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