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Puntata IX

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L’inganno del blu

15 Marzo 2018 Racconti


(Gaetano Sinoro)
Osservavo, su muretti imbiancati e deserti, promesse, ormai spogli graffiti d’amore d’amori migrati chissà dove, lontani, perduti. Stavano lì, alberi spogli d’abbracci e baci soffiati via dal vento, a riempiermi le narici d’odor di petricore, fiochi come i lumi – smorzati dalla pioggia e da un cielo cinerino più denso e più vivo – delle ultime giostrine in disarmo. Ti osservavo settembre, pittore precario d’addii, colorare le ombre degli ultimi attardati migranti ( qui chiamsti turisti) nell’acqua morta sui cigli delle strade del mare prima che evaporassero verso i focolari delle loro nuove terre. Mi osservavo a riempirmi di te, dei tuoi odori, del gelsomino ancora in fiore e della pioggia e del gusto genuino delle more e, in silenzio -neanche il tempo di dire un “t’amo!” -, a cadere in amore per le creature generate dal tuo cielo veloce. Ancora d’estate, nasceva così il mio autunno ed il mio rito, la mia processione; si compiva su strade deserte, sì, ma non vuote e le mie spalle sostenevano solo la vita, solo il tuo morbido cielo, non pesanti rappresentazioni di vita in legno morto.​ Quando, all’improvviso…
(Orfeo Gentile)
Cinta d’assedio, respinta via dalla corrente, Euridice – lei che sapeva – era già lontana. Nell’ora in cui la fatua solennità del fare, la vacuità dei traguardi e dei riconoscimenti doveva percorrere le strade in cui il languore di tutti i soli accendeva i silenzi; a chi fosse esistito nelle infinite sfumature del nulla, a chi fosse esistito fra follie di sospiri acerbi, a chi fosse eistito, pur prono germoglio di vita, in mille coacervi di parole e di verbi e di note, io m’aggrappavo. Ma la luna era già sul pino, dove, come il cuculo che lì si poggiava, in una casa non sua, cantava e ingannava ancora, illuminava gli epigoni sbiaditi del girono che fu e più non era, li consolava e li illudeva, questi fossili imbiancati persuasi dell’immutabile eternità e consolava ed illudeva anche me e la mia ingenua fuga.​ Quando, all’improvviso…
(Flavio Diporto)
Mi sentivo come se quest’acqua salmastra avesse il gusto della vittoria, come se il vento, che gonfiava le vele del mio yacht blu e del mio ego, mi portasse lo stesso odore del successo di quando ero un giovane imprenditore, l’odore dei primi soldi a cacciar via quello della miseria, dimenticata in fretta a forza di ostentazione e spavalderia. Quelle vele mi portavano verso le spiagge d’oro della mia isola del tesoro, verso quegli alberghi ancora gremiti di turisti danarosi, avidi di vita, come me; d’altra parte, chi mai avrebbe potuto, potendoselo permettere, rinunciare al confort dell’impero che avevo costruito, chi mai avrebbe potuto resistere alle sirene della movida, dei coktails del successo, delle squinzie sorridenti e seducenti alle mie porte. Nessuno! Nessuno avrebbe mai disertato i miei mari. Quando, all’improvviso…

il cielo si tinse di un colore nuovo, innaturale, fra il marrone e il verde (quello che i tecnici chiamano Pantone 448 C). Fu un istante, un solo istante che cambiò la percezione di tutto, anche il mare svelò il suo inganno e, repentinamente, si adeguò al nuovo colore del cielo.

(Tom Bowiere)
Da tempo aveva smesso i panni del maggiore; anche il ricordo del proprio nome non era oramai che esercizio vano. Animula vagula blandula, ancora più solo di prima, neanche il blu a fargli compagnia. Aveva visto un’esplosione, un piccolo bagliore lungo il 38° parallelo dell’emisfero orientale e poi il blu scomparire per lasciare il posto ad un colore che faceva della Terra un oggetto inguardabile, persino da quella distanza. Lì, dopo Giove e Marte, il suo sguardo si rifiutava di posarsi ancora. Si voltò e vide Cassini tuffarsi a 124mila km/h nello stretto corridoio fra Saturno e i suoi anelli schivando particelle di fumo (potenzialmente micidiali a quelle velocità) e ne aveva invidiato la folle corsa mortale: “Cazzo!” pensava “anvedi sto Cassini che se sta a fa a tetraidro-rivoluzione mejo de J Ax.” Anche Tom, in fondo, nel suo catino di latta e bulloni e conoscenze e ricordi inutili, si stava lasciando tutto alle spalle in attesa dello schianto finale, si stava fumando il mondo, tutti quegli imbecilli che lì non avrebbero potuto raggiungerlo; niente fregnacce dei Kim Jong-un e Trump di turno, niente rockstars del piffero, niente prediche inutili di santoni e pontefici, nessun eroe, nessuna storia, alcuna scienza esatta, niente di niente… anche se qualche tiro ad alto dosaggio di THC l’avrebbe fatto volentieri. Rotta verso la zona fredda; lì dove finiva la scienza ed iniziava il mistero, dove gli universi si erano scontrati, ai confini dell’indefinito. Nella notte siderale, lontano persino il ricordo del vento solare, era sempre più solo; unica compagnia la radiazione cosmica di fondo e le sue mani a marcare l’unico confine possibile, quello fra sé e tutto il resto.​ Non c’era niente che potesse fare.

Armando Di Carlo

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