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LA CIRCE DI PAOLO ROSSI NON INCANTA TINDARI.

9 Novembre 2012 Teatro


all’interno del “Tinfari Festival” per “Odissea – un racconto mediterraneo” con il canto X portato in scena dal giullare (non parliamo di cabaret con lui perché potrebbe offendersi), allievo di Dario Fo, Paolo Rossi.

Uno dei canti più celebri dell’opera di Omero accolto da un pubblico numeroso e discretamente divertito dalle deviazioni comiche del triestino che hanno “dato vita” ad uno spettacolo di circa un’ora e mezza.

Rossi, veterano di questo spettacolo itinerante che da qualche anno “allieta” piazze, platee e teatri di tutta Italia, ha “cucito” sul canto dei monologhi comici richiamando principalmente situazioni e problematiche moderne – dalla politica all’alcolismo – narrate con leggerezza.

Per parte mia lo spettacolo, pur essendo ampiamente collaudato dagli anni, aveva un qualcosa di troppo lasciato al caso, quasi improvvisato oserei, con momenti comici che deviavano troppo dalla natura dell’opera che si voleva re-interpretare e che si è, invece, finiti con lo stravolgere completamente.

Non all’altezza della precedente performance di Gioele Dix, rilettura del canto X che sconsiglio decisamente ai cultori di quest’opera immortale nonostante tutto.

L’ultimo appuntamento con “Odissea – un racconto mediterraneo” sarà, giorno 8 agosto, con “Le sirene, Scilla e Cariddi” che vedrà protagonista – unica tappa siciliana – Teresa Mannino.

Ad intervallare il racconto di Paolo Rossi e di Teresa Mannino, il Tindari Festivel propone, nei giorni 5 e 6 agosto, “Indiegeno Fest 2014”, prima edizione del festival di musica indipendente che vedrà alternarsi sul palco Gnut, Tommaso Di Giulio, Management del dolore pot-operatorio, Marta su tubi (il 5), Nicolò Carnesi, Bottega Glitzer, Cassandra Raffaele e, per finire, Brunori Sas + guest Dimartino.

Al termine dello spettacolo abbiamo rivolto alcune domande all’attore che così ci ha risposto: “E’ come quando racconti la storia ai ragazzi, per avvincerli, per tenere alta la concentrazione di chi recita e di chi ascolta e vede; apri finestre, parentesi, divaghi, commenti, sdrammatizzi o drammatizzi. E’ un modo di rubare ai classici – mi ha sempre insegnato Dario Fo che rubare in teatro è cosa buona – rubare vuol dirle farlo tuo poi, copiare invece e farlo pari pari è banale. Del resto i classici sono classici; tutto è già stato scritto. Se arriva qualcuno e dice “ho un’idea che non ha mai avuto nessuno” un motivo ci deve pur essere. La prima rassegna che hanno fatto, il primo sono stato io, per sorte, per sorteggio sono stato io. Ci sono dei luoghi che, al di là della bellezza, hanno anche una carica magnetica che magari se vai a fare teatro in un ex cinema non trovi, non senti. Io qui in Sicilia ho lavorato a Taormina e a Segesta. Devi stare attento che lo scenario non distolga gli spettatori ma ti aiuta molto. Con questo stile il pubblico ti sente uno di loro, per cui, qualunque cosa succeda – i foglietti che volano, i petardi che scoppiano, una sirena – si rendono conto che stanno assistendo ad un qualcosa di irripetibile, che non vedranno mai quelli che verranno domani, che vedranno altre cose che non hanno visto quelli di prima. Del resto il teatro è uno spettacolo dal vivo. Il cabaret oggi come oggi è un termine da cui mi allontano un pochino; se per cabaret si intende il cabaret degli anni 50/60, cioè quello che dà luogo ad “Una palestra di follia” (quello che faceva anche Dario Fo, che ha fatto Jannacci, Cochi e Renato), allora cabaret è una parola che mi piace, se si riferisce all’oggi no, io faccio un altro mestiere, con tutto il rispetto. Io ho lavorato a Zelig nel locale, quando il locale non era stato ancora invaso dalla televisione.”

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