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“Bar” di Scimone strega il pubblico pattese.

28 Novembre 2015 Articoli per SenzaPatti Teatro


Il retro del“Bar”, colto nella crudezza della parete rosata gonfia d’umidità con una sola piccola finestrella oscura, ha tutta l’aria d’essere una sorta di dantesca anticamera infernale ed i due protagonisti – Scimone e Sframeli – che, lasciata praticamente ogni speranza, lì vi trovano “rifugio”, sono due povere anime dannate, senza arte né parte, ineluttabilmente perdenti. Nei loro gesti, nelle loro storie c’è una qualche rimembranza di stampo verghiano e, d’altra parte, il verismo in chiave pessimista sembra essere la chiave di volta di questo gioiello della drammaturgia contemporanea internazionale rappresentato per la prima volta a Patti grazie al cartellone “Scenanuda” del Beniamino Joppolo.
Il barista Nino (Francesco Sframeli) ed il disoccupato Petru (Spiro Scimone) sono due vinti talmente credibili che, probabilmente, neanche lo stesso Verga avrebbe saputo ritrarre meglio. Loro riescono a perdere pure quando vincono; Gianni muore, ma muore troppo presto perché questa morte possa essergli utile. Gianni muore ma loro continueranno a non essere vivi, Gianni muore insinuando negli spettatori persino un dubbio.
Ogni movenza, gesto ossessivo, espressione diviene qui allegoria dei due. Il testo, nella sua semplicità, è di una poeticità travolgente; si mette finalmente da parte Freud (che la fa da padrone in troppa drammaturgia contemporanea) e ci si affida al verso puro per scavare nei meandri dei due e di ciò che li circonda. L’empatia che i personaggi suscitano non è data qui dalla captatio benevolentiae, i due non sono personaggi amabili e difficilmente ci si potrebbe calare pienamente nei loro panni, identificarsi nelle loro istanze, apprezzarne le scelte; eppure, qualsiasi cosa essi facciano, che siano codardi come Nino quando non difende l’amica dall’“animale” Gianni, o in preda ad eccesiva fiducia come Petru che affida il proprio futuro a Gianni ed ai suoi sodali, si instaura, sin da subito, una complicità naturale verso questi due. La finestrella sull’incerto altrove, il buio ed il silenzio improvvisi, la radio che trasmette da “un altro mondo”, il goffo tentativo di ballo di Nino, il bicchierino e le frasi ossessive, sono tutti codici poetici sviluppati in chiave straordinariamente ermetica per decrittare una storia che invece è tutta giocata sul realismo più crudo.
“Bar” è il secondo lavoro di Spiro Scimone e tuttavia non ha nulla di acerbo; scritto nell’ormai lontano 1997 conserva intatta tutta la fragranza della contemporaneità ed è un’opera di rara perfezione, non un aperitivo che Nino probabilmente mai preparà ma una sontuosa cena a buffet dai mille sapori, tutti da scoprire.
Lo sguardo di Scimone – e di ciò ho avuto conferma in un breve colloquio con l’autore al termine della rappresentazione – è qui più direttamente legato all’osservazione della realtà che nelle sue opere più recenti ma la lettura, ribadisco, è squisitamente poetica. Tale commistione e scontro di istanze e sentimenti, con ad impreziosire ancor più il tutto la sicilianità con tutto il retroterra culturale insito in essa, crea non solo grande teatro ma anche grande letteratura (non a caso infatti mi sono buttato sui paragoni lettari per commentare questo lavoro).
Ho sentito nelle parole e letto negli squadri di Scimone e Sframeli al termine dello spettacolo grande soddisfazione per la calorosa partecipazione del pubblico; ciò mi rende doppiamente felice, per il fatto che tale lavoro sia stato compreso come meritava e perché questi due grandi, geniali artisti hanno finalmente tacitato le malevole voci di chi sosteneva che a Patti un certo tipo di teatro non potesse più allignare. Il pubblico pattese sa ancora riconoscere l’eccenza e “Bar” ne è la prova.
Ardò (Armando Di Carlo)

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