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Antropolaroid, di e con Tindaro Granata, al Beniamino Joppolo

10 Febbraio 2012 Articoli per Il Gazzettino del Tirreno Teatro


Un amico che s’intende parecchio di teatro mi aveva consigliato di non perdermi lo spettacolo di giorno 9 al Beniamino Joppolo. Così, in barba al freddo e alla pioggia, sono andato al Teatro e, nonostante i soliti problemi già arcinoti delle poltrone e le tre signore davanti che proprio non volevano saperne di smetterla di commentare ogni singola battuta e di ridere anche quando da ridere non c’era proprio nulla (non avete idea del fastidio di quelle grasse risate, ma capirete), posso assicurarvi che sono uscito soddisfatto.
Come da titolo – Antropolaroid – l’opera del giovane Tindaro Granata è strutturata come un album di istantanee uscite dalla macchina fotografica di un ottimo antropologo che analizza con piglio estremo i soggetti sottoposti alla sua attenzione.
Non vi allarmate, non siamo in una qualche foresta sperduta dell’Amazzonia in viaggio con Claude Lévi-Strauss per studiare il mondo primitivo. Siamo in Sicilia, a Patti, in un ambiente che conosciamo bene, il nostro viaggio è tutto temporale, in compagnia di un osservatore indigeno che, credetemi, nulla ha da invidiare al buon Lévi-Strauss.
Un viaggio nel tempo dicevo, e tuttavia, paradossalmente, la storia che ha una sua precisa periodizzazione e copre circa 100 anni della vita di una famiglia e di un’intera società fino ai giorni nostri, sembra fluire fuori dal tempo, in un mondo al contempo reale ( il nostro ) e fantastico, che mi ha ricordato – senza tema di apparire eccessivo – altre atmosfere, quelle di una certa Macondo, partorita dalla mente di Gabriel Garcia Marquez.
E la storia dei Granata ha non pochi parallelismi con quella dei Buendìa; così ci troviamo catapultati in un microcosmo fatto di piccole vicende e di aneddoti familiari che diventano lo specchio di un’intera società.
Granata costruisce un mondo fatto d’ordine e di caos, di tradizioni e di voglia di riscatto, di denunce e nostalgie; qui lo studioso è anche studiato, anch’egli totalmente coinvolto in quelle vicende oggetto del suo scandaglio e anche noi spettatori pattesi e siciliani lo siamo, costretti dall’autore-attore a scandagliare a nostra volta ciò che ci circonda.
Sono comunque davvero tante, troppe, le suggestioni che questo giovane mostro di bravura ha saputo suscitarmi e non vorrei tediarvi ma non posso trattenermi dal dire che questo spettacolo è anche un entusiasmante spaccato neorealista in una terra dalle mille contraddizioni, osservata con quella leggerezza che solo un siciliano ( o anche un sud americano forse ) può avere nell’affrontare certi argomenti come la morte, la sventura, la prepotenza e la malvagità, queste ultime che in Sicilia hanno inesorabilmente un solo timbro, un solo nome, mafia.
Uscendo dalla sala ho raccolto qualche impressione, tutte decisamente entusiaste. Fra queste vi è quella del regista Peppino Bisagni, anch’egli decisamente entusiasta e “impressionato” dalla bravura del ragazzo, sorpreso dall’assoluta abilità dell’attore nel cogliere l’essenza dei personaggi e dalla grande facilità nell’interpretare soggetti così diversi.
Allora bravo, bravo, bravo, Tindaro Granata! Mi auguro sinceramente che venga inserita nel cartellone una replica del tuo spettacolo, spero che possa essere data a molti altri pattesi la possibilità di assistere a quest’autentica magia alchemica e di non restare troppo fra i soli 400 privilegiati di un teatro stracolmo.

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